CHE VOGLIA… CHE PAURA!
L’immagine del freeride e l’idea di «fare freeride» sono entrate nella mente e nei sogni di un pò tutti gli sciatori, ma ogni piccola asperità del terreno fa ancora troppa
paura e si tende a battere in ritirata….
La voglia di sci fuoripista sale alla ribalta, ai giorni nostri, in parallelo al piacere dello sci in conduzione su pista perfetta.
Da diversi anni il fascino dello sci «più» libero ha fatto breccia nell’immaginario degli sciatori e accanto al desiderio di godere delle fantastiche sensazioni della sciata in conduzione cresce, e vorrebbe concretizzarsi il sogno di esprimere le proprie abilità su terreni diversi e selvaggi in mezzo a scenari mozzafiato. Fino agli anni ‘60-‘70 le sciate «freeride» e «freestyle» avevano quattro-cinque semplici nomi: neve fresca, gobbe, salti, ripido, bosco… ed erano delle necessità, erano «lo sci». Le piste erano battute da squadre di volonterosi «a scaletta» e praticamente non esistevano grandi spazi lisci, compatti ed uniformi bensì soltanto mari in tempesta o terreni vergini dove gli sciatori dotati di destrezza e talento facevano la differenza. Lo sci vero e le sfide tra amici, o tra colleghi maestri di sci, erano nel dimostrare appunto destrezza tra le gobbe e in neve fresca.
Lo sci vero è questo ancora oggi, non è cambiato… e la conduzione è da vedere come una nuova espressione tecnica definitasi grazie all’evoluzione degli attrezzi e alla perfetta battitura delle piste che si aggiunge alle abilità senza sostituirne altre. Quando le grandi piste e gli sci carving cominciavano a torto a offuscare l’importanza dello sci di destrezza dissi ai miei colleghi che secondo me la «neve fresca», «le gobbe» e «i salti», per noi simbolo del «sciare bene», sarebbero tornati in auge una volta ridefiniti nei nomi, nel look e nei codici comportamentali dei praticanti… quindici-vent’anni ed eccoci qua, tutti con la voglia di freeride e freestyle, evviva!
Finalmente ci convinceremo tutti che la misura delle abilità (tanto per lo sciatore comune come per gli aspiranti maestri di sci) si dovrebbe valutare ancora oggi in buona parte sui terreni difficili, sconnessi, da interpretare con fantasia e proprietà del gesto, almeno tanto quanto sulla conduzione e sulle prove agonistiche.
La realtà rimarrà ovviamente che il 95% degli sciatori scierà prevalentemente in pista accontentandosi in un certo senso del «sogno freeride». Sarebbe bello a questo punto pensare a qualche piccola esperienza freeride per gustare e apprezzare qualcosa di diverso e per renderla utile alla crescita tecnica personale. Ad esempio, uno dei problemi tecnici più diffusi (in pista come fuori) è quello di un certo arretramento delle spalle nella fase di cambio e di conseguenza all’ingresso in curva. In pratica una tendenza a una distensione marcata e verticale anziché al contenimento dell’estensione abbinato a una proiezione in avanti e laterale, verso il vuoto, verso la nuova curva.
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Foto 1
È importante che la fase di ingresso in curva, fino alla massima pendenza sia effettuata in massimo relax, con una presa di inclinazione in scioltezza e con il bastoncino che già comincia a prepararsi per perfezionare l’oscillazione nella seconda parte di curva.
Foto 2
È importante non arretrare nella fase di cambio e non distendere verticalmente: da questa foto in poi, senza alzare le spalle, il corpo deve lasciarsi andare testa in avanti verso il vuoto e lateralmente per invertire l’inclinazione in scioltezza, entrare in curva senza arretramenti e contrazioni muscolari, trovarsi in buon equilibrio dinamico a metà curva e gestire al meglio la fase di chiusura.
La conseguenza, che si evidenzia soprattutto in neve fresca, è quella di una enorme difficoltà a invertire gli spigoli e a immettersi nella nuova curva; forte tensione e rigidità, arretramento, paura, errori a catena, messa in discussione delle proprie capacità con un ritorno in pista a godersi il terreno liscio. Ma con una forte delusione. È invece l’occasione per mettersi veramente in discussione e cercare di capire. In neve fresca o smossa, magari con un po’ di gobbe e con visibilità ridotta, una giornata meteorologicamente delle più «storte» può farci scattare la scintilla per un bel salto di qualità. Come? Mettiamoci fermi e di traverso rispetto al pendio, in presa di spigolo e in assetto raccolto, come se stessimo finendo una curva, con i piedi- caviglie-ginocchia che regolano saldamente lo spigolo mentre il petto e lo sguardo sono già orientati verso la nuova curva.
Da questa situazione, anziché partire con un’estensione verticale rimaniamo giù con le spalle e con il busto flesso sulle cosce, e preoccupiamoci di due cose:
1) sporgiamoci con la testa e le spalle in avanti e lateralmente verso la massima pendenza come a volerci lasciar cadere-tuffare nel vuoto
2) contemporaneamente rilassiamo i muscoli che ci facevano tenere saldi gli spigoli, in modo che piedi e caviglie avviino il movimento di inversione proprio mentre il corpo si sbilancia verso il vuoto.
Ci accorgeremo che le punte degli sci «cadranno » rapidamente verso la discesa e che nello spazio di nemmeno due metri i vostri sci saranno sulla linea di massima pendenza, senza nessuna forzatura. Ciò vuol dire che se invece di fare grandi e forti distensioni verticali per iniziare la curva ci lasciamo andare dolcemente in proiezione verso il vuoto, allentando la tensione muscolare che ci faceva tenere di spigolo, il gioco è fatto, abbiamo risolto la prima metà della la curva senza alcuna difficoltà e in perfetta centralità, senza contrazioni e senza arretramenti.
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Foto 3
Freeride è saper improvvisare e godere degli spunti che il terreno ci offre.
Foto 4
In questo bel cambio in volo si nota l’ottima coordinazione nella presa di inclinazione, l’appoggio del bastoncino appena avvenuto e l’inizio della preparazione del bastoncino sinistro per la curva successiva.
A questo punto, sull’abbrivio, potremo agire con facilità e con equilibrio sicuro, per chiudere la curva. Fermiamoci quasi alla fine di ogni curva e ripartiamo con le spalle e la testa in avanti verso il vuoto, mollando contemporaneamente piedi-caviglie-spigoli. Può aiutare pensare di avere un soffitto sopra la testa, parallelo alla pendenza del terreno, lungo il quale far scivolare la testa anziché sbatterla.
Il risultato sarà che dopo qualche curva si percepirà il vantaggio di questa azione e nel giro di qualche decina di ripetizioni si prenderà gusto a questo inizio di curva dolce e senza difficoltà, che porta inoltre a una estrema facilità di gestione della seconda parte di curva. Questo può essere un modo molto efficace di approcciare terreni difficili agendo su un elemento tecnico che ci rende da subito la vita facile fuoripista e che al primo ritorno in pista renderà la nostra sciata estremamente più compatta, centrale ed efficace.
Molto meglio che rimanere in pista a provare e riprovare in assenza di quelle difficoltà che il fuoripista presenta, stimolandoci a trovare soluzioni efficaci e tecnicamente applicabili a tutte le situazioni.
Che il fuoripista ci piaccia o no teniamo sempre presente la sua utilità, perché lo sci vero è quello che sa risolvere le difficoltà e l’apprendimento vero non si realizza in situazioni solo e sempre comode.