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I 6 Punti

I 6 PUNTI

Cambio, ingresso e attacco devono essere caratterizzati da compattezza e contemporaneità nello svincolo: nella presa di inclinazione e nello sviluppo dei carichi. Focus su piedi-caviglie, ginocchia, anche e spalle.

Cominciamo subito da un piccolo riepilogo delle fasi di una curva: dividendo la curva in tre parti possiamo parlare del primo terzo come fase di ingresso, del terzo terzo come fase di uscita e del secondo terzo come fase «forte« della curva, quella in cui lo sciatore è come se impattasse una parete, una sponda, dalla quale farsi respingere per concretizzare il cambio di direzione. Per intenderci, il secondo terzo di curva va da un po’ prima del passaggio sulla massima pendenza a un po’ dopo (come fare un tornante ad alta velocità impattando e sfruttando una sponda parabolica che ci aiuta a non uscire di strada).

Impattare la sponda a velocità elevata, affinché ci rilanci nella nuova direzione, significa scaricare su di essa l’energia del corpo lanciato in velocità in modo che questa ce la restituisca e ci faccia deviare. Il corpo deve predisporsi in modo da sviluppare la fase di impatto in perfetto equilibrio: quindi prende l’inclinazione che ritiene necessaria per quella curva, predispone piedi e spigoli a fare presa (sulla neve la parabolica dobbiamo crearcela noi con l’inclinazione dei piedi e la presa di spigolo!), si prepara a dare la giusta progressione di forza per gestire i tempi di impatto contro la sponda e di rilancio nella nuova direzione, già decisa in anticipo e perfezionata in corso d’opera. I carichi che il corpo deve sopportare possono essere ingenti, tanto più ingenti quanto maggiori sono velocità e pendenza e quanto più è ridotta l’ampiezza della curva. Dato che il corpo è fatto di segmenti collegati tra loro da articolazioni, nel suo insieme deve essere una struttura che offre la giusta resistenza ai carichi, senza rigidità eccessiva e prima di tutto senza cedimenti di questo o quell’altro snodo.

Foto 1 Foto 2

Possiamo dire che se da una parte il corpo ha la fantastica possibilità di adattare l’assetto e la gestione dei carichi in modo ottimale per ogni curva, dall’altra corre il rischio a ogni curva di disporre male qualche pezzo e quindi di creare delle debolezze e dei punti di cedimento della struttura che non permettono di avere i risultati di tenuta, dinamicità e prestazione desiderati.

Ed è qui il bello dello sci: essere una macchina che in ogni momento può adattarsi, in base alla situazione, alla nostra abilità, alla nostra sensibilità ed intelligenza motoria. Struttura solida abbiamo detto, quindi assenza di cedimenti negli snodi. Struttura anche elastica ovviamente, di quell’elasticità resistente che permette una giusta modulazione dei carichi e l’assorbimento degli choc. L’aspetto ostico è prima di tutto quello della solidità: si ha l’impressione di essere compatti e forti, poi ci si guarda al video, o peggio ancora in una sequenza fotografica ed inesorabilmente ci si becca in fallo e si trova sempre uno snodo che va per conto suo. L’anca esterna che resta indietro, il ginocchio interno che è passivo e non aiuta il piede-caviglia a cercare lo spigolo, ecc. ecc. Il bello è che si è convinti di aver fatto bene e non si ha la percezione dei più o meno importanti cedimenti o passività. E per imparare ad essere solidi bisogna imparare a percepirla, questa solidità. Proviamo a casa mettiamoci in presa di spigolo come a voler incidere il pavimento stando in piedi, semplicemente; ora facciamo un balzo riatterrando sugli spigoli e tenendoli forti in modo che il piede non si riappiattisca sul pavimento. Sicuramente abbiamo ottenuto un certa solidità abbinata ad una certa elasticità nella ricaduta a terra.

Riproviamo e focalizziamo l’attenzione sulle articolazioni che ci interessano, sono sei punti: le due caviglie, le due ginocchia, le due anche. Immaginiamo di applicare ai sei punti altrettanti bollini gialli per visualizzarli ancora meglio. Ripetiamo il balzo e cerchiamo di sentire come tutti i sei punti sono solidi all’atterraggio; riproviamo diverse volte cercando ogni volta dei gradi di solidità leggermente diversi fino a ottenere una percezione spontanea dei sei punti. Fatto questo cerchiamo ora la percezione delle tensioni muscolari per renderci conto che la stabilità degli snodi nel momento dell’atterraggio dipende dal grado di tensione muscolare a livello dei vari segmenti e in primis da come i piedi e le caviglie richiedono tensione a tutta la struttura in funzione dell’efficacia della presa di spigolo. Arrivare, con questo esercizio al tempo stesso fisico e mentale, alla consapevolezza del grado di tensione muscolare necessaria per la gestione dello spigolo e dei carichi è il passo in-di-spen-sa-bi-le per capire il concetto di solidità.

E come vedete non c’è niente di difficile.

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Foto 6 Foto 7 Foto 8

Foto 3-8: Sei Più Due
Due sequenze di tre foto ciascuna, in campo libero (Oriano Rigamonti) e in slalom (Davide Cervini). Proviamo a riconoscere i sei punti e notiamo come lo spostamento sia tanto maggiore quanto più i punti sono distanti dal punto di cerniera (le due caviglie, le due ginocchia, le due anche rispetto ai piedi-spigoli). Possiamo considerare le spalle come 7° e 8° punto e notare quanto sia importante che facciano «blocco» con gli altri sei in un movimento avanti-laterale e giù! In proiezione verso la discesa.

Basta provare diverse volte a secco e poi trasferire sulla neve, facendo dei piccoli balzi da fermi in diagonale, riatterrando sugli spigoli sempre in diagonale cercando la stessa percezione di solidità-stabilità delle articolazioni. Scoprirete inoltre che, per ottenere la giusta sensazione di solidità, il corpo si sarà messo da solo in assetto di equilibrio in rapporto alla pendenza del terreno. Torniamo a secco. Il passo successivo è quello della contemporaneità nello spostamento laterale dei sei punti. Quando il corpo passa dall’inclinazione di una curva a quella della curva successiva i sei punti devono spostarsi da una inclinazione all’altra in sincronia, i piedi devono dirigere l’orchestra sentendo che da uno spigolo forte devono togliersi per andare alla ricerca di uno spigolo forte dalla parte opposta, devono cercare la continuità in questo passaggio e nel prendere la nuova inclinazione.

Fissate queste sensazioni di compattezza, di solidità e di contemporaneità/continuità di movimento laterale, possiamo finalmente e volontariamente a simulare errori provando a spostare in maniera autonoma uno qualsiasi dei sei punti per capire quanto ci appare assurdo e quanto la struttura può perdere in resistenza e stabilità. Questa capacità di percepire lo spostamento di ogni singolo punto rispetto al sistema e di conoscerne gli effetti negativi ci metterà in condizione di prevenire o di riconoscere l’errore.

Ora possiamo occuparci delle spalle che sono il settimo e ottavo punto e che devono «fare sistema» con gli altri sei: nella fase di inversione, nella presa di inclinazione, nella ricerca della perpendicolarità al pendio e del momento buono per prepararsi ad uscire dalla curva sulla buona direzione. Provare e sperimentare, evitando di pensare di aver capito tutto e subito. Mettersi in discussione a ogni passo e cercare sempre nuovi spunti di lavoro intorno a un concetto, in questo caso quello della solidità e della contemporaneità di azione.

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